Museo

MUSEO ETNOGRAFICO E DELLA CIVILTA’ CONTADINA

La motivazione principale che ha indotto la Pro Loco di Besnate a realizzare questo “Museo Etnografico e della Civiltà Contadina” è stato il desiderio di conservare la memoria delle nostre tradizioni. Per raggiungere questo obiettivo, annualmente si sono proposte delle mostre che rievocassero la vita, gli usi, i costumi del passato.
Tante “cose di una volta” sono andate perdute quando, traslocando, si sono svuotate le soffitte delle vecchie case. Nonostante ciò qualcosa è stato salvato, è stato donato, s’é recuperato, tanto da poter ricostruire gli ambienti più significativi della vita di un tempo, nella loro essenzialità.

Visualizza la galleria fotografica dedicata al museo etnografico e della civilta’ contadina.

Il visitatore, quindi, non si aspetti di veder realizzate nella loro completezza: la scuola, la bottega del falegname, quella del calzolaio, l”osteria, gli ambienti domestici e quanto si riferisce alla vita contadina, ma abbia a gradire, comunque, quanto é stato allestito, senza dimenticare che si é dovuto tener conto anche dello spazio concessoci dall’Amministrazione Comunale.
Questo Museo offre Foccasione per riscoprire valori e costumi legati al tempo dei nostri bisnonni. ll progresso, infatti, ha cancellato le tracce di un passato che, soprattutto ai giovani, sembra non essere mai esistito, ma che é importante per non dimenticare la testimonianza delle nostre radici.

Qui di seguito un interessante servizio di VARESE NEWS sul Museo etnografico e della civilta contadina, realizzato in occasione del “141 Tour”:

LA SCUOLA – LA SCOEURA

I nostri vecchi dicevano che la scuola doveva insegnare a leggere, scrivere, far di conto, quindi frequentavano fino alla terza classe, dopo di che si andava in campagna a lavorare a fianco degli adulti. Le aule erano poco spaziose e luminose, riscaldate con stufe a legna o a carbone e arredate con la cattedra per la maestra, con i banchi a due posti forniti di calamai in cui si intingeva la cannuccia con il pennino, con la lavagna di ardesia, quadrettata e rigata sulle due facciate.
Sulle pareti erano appese le carte geografiche, il Crocifisso, i cartelloni didattici, il ritratto del re; in un angolo una canna piuttosto lunga serviva per indicare le varie regioni italiane sulla carta geografica. Si andava a scuola tutti i giorni, mattina e pomeriggio, tranne il giovedì.
C’era tanta disciplina: tutti avevano soggezione della maestra, alunni e genitori, e guai a chi rimbeccava ad una osservazione.

IL FALEGNAME – UL LEGNAME’

L’ambiente dove “ul legname” stava l’intera giornata ad eseguire quanto gli veniva commissionato, era un locale – la butega – contenente il banco di lavoro e tutti gli attrezzi che gli erano necessari.
Naturalmente, dagli infissi ai mobili, tutto veniva costruito manualmente con il solo ausilio di pialle, compassi, squadre, seghe, raspe, trapani e succhielli.
Entrando si avvertivano odori particolari, legati alle colle utilizzate, alle resine dei legni segati, alle cere ed agli olii che servivano per la lucidatura. Il pavimento era cosparso di trucioli e segatura, mentre gli attrezzi trovavano spazio sulle mensole appese alle pareti. Un particolare settore della falegnameria fu la costruzione di carri d’ogni tipo: dalle carrozze al carri agricoli.
Anche Besnate ebbe dei “legname da careta” che si distinsero in campo nazionale.

IL CALZOLAIO – UL BAGATT

Quando Besnate era amministrativamente legata con Jerago ed Orago, contava tre calzolai e un zoccolaio.
Questa breve poesia ci permette di visualizzare “il bagatt” neila sua bottega intento al lavoro per realizzare le calzature che gli venivano commissionate.

Setagiò tach al so banchet
cun la lesna, ul spögh e ‘I curtelet,
ul curam al picöva cul martelet,
al giustöva i bruchitt e al feva i zibrett.

A l’eva cuntent dal so laurà
e al sa sìntiva sempar zifuià.
Ai scörp ga meteva su i pezz
e ja tingeva, e ja luströva,
e par la festa ja preparöva
Ma purtropp ai nostar dì
chel mistè al va a finì.
(Da “Ropp d’Arzag”)

L’OSTERIA

Ora non c’è più. É scomparsa per lasciare il posto a Caffé, Bar, Pizzerie, Paninoteche.L’osteria era l’espressione di una civiltà legata alle vicende agricole, quando il tempo era scandito dalle stagioni, legato alla terra della quale tutti vivevano.
Era l’unico luogo di ritrovo e svago dei nostri antichi padri; in essa si raccoglievano e si diffondevano le notizie locali e gli avvenimenti della cronaca politica.
Dopo una settimana di duro lavoro, si andava all’osteria per incontrare gli amici, fare con loro una partita a briscola o a scopa, per parlare del più e del meno e anche per combinare qualche affare.
In molte osterie si mangiava, si trovava alloggio e un riparo per il cavallo con il mezzo di trasporto.
Besnate contava numerose osterie e trattorie che rispondevano a tutte le esigenze.

LA CUCINA – LA CA’

Era l’ambiente dove si stava a cucinare e mangiare, ma anche dove si sbrigavano molti lavori domestici: cucire, stirare, accudire i bambini, impastare il pane, preparare le salse e le marmellate perciò era un locale grande con un bel camino dalla larga cappa sporgente sotto la quale era possibile mettere delle panchette sui due lati.
ln un canto del focolare si teneva “ul barnàsc” (paletta di ferro col manico lungo), “la moeia” (la molla per la brace), “ul bufétt” (lunga canna di ferro per soffiare sul fuoco), “ul rampén” (ferro lungo con un”estremità ricurva per ricomporre le braci sotto “ul tripée” – tripiede – sul quale si mettevano tegami di varia grandezza).
Sotto la cappa pendeva “na cadena bela grosa” (una catena bella grossa) per appendervi “ul caldar, ul caldarèn dul café e ul parioeu” (il pentolone, il pentolino del caffé e il paiolo di rame in cui si cucinava la polenta).
Sul davanzale della cappa si tenevano i ferri per stirare, un candeliere o un lume a petrolio, i fiammiferi.
Proprio perchè la cucina era l’ambiente dove si svolgeva tutta la vita familiare, c’era anche spazio per “ul stantiroeu” (girello) che permetteva ai bambini di muovere i primi passi senza essere sorretti dagli adulti.

LA CAMERA DA LETTO – LA STANZA

Tutti avevano “la stanza” al piano superiore della casa. Vi si accedeva dall’esterno, salendo una scala dai gradini di sasso o di legno. Era grande, arredata con: “ul lett”, “ul quadar da la Sacra Famiglia”, “ul Crucifiss”, “na cadrega da iegn” (una sedia di legno). Ai piedi del letto, la cassa contenente la tela e la biancheria di famiglia; ai suoi lati “i cifuni” (i comodini), “ul guarnèri” (il guardaroba). Non mancava il comò con sopra la Maria Bambina.
E’ vero, non c’era il bagno in camera, ma per i nostri bisnonni non era un problema! Nei comodini tenevano “l”urinöri” (il vaso da notte) e, in un angolo, “ul lavabus” (il lavabo) completo di specchio, portasapone, brocca ed altri accessori: il tutto serviva per l’igiene personale.
Chi se lo poteva permettere, aveva una confortevole poltrona, “la comoda”, molto utile in caso di malattia, perchè veniva usata sia per il riposo, sia come servizio igienico.
Frequentemente la stanza custodiva i sacchi pieni di frumento e/o granoturco, veri tesori che garantivano la sopravvivenza.

I BACHI DA SETA – I BIGATT

Erano le donne che si dedicavano, per circa quaranta giorni, a questa attività, poiche gli uomini si limitavano a raccogliere dai “muruni” (alberi da gelso) le foglie utili per il nutrimento dei bachi I filugelli appena nati dai “semi bachi” venivano nutriti con foglie di gelso tagliate finemente: 6-7 pasti al giorno, per una settimana. Dopo circa una decina di giorni dalla nascita avveniva la prima delle quattro mute, durante la quale i bachi interrompevano l’alimentazione e dormivano, cambiando la pelle. Il tempo che intercorreva tra una muta e l’altra serviva per sostituire i graticci sporchi con altri puliti.
Verso il quarantesimo giorno, compiuta la quarta muta, i bachi rallentavano l’alimentazione e tendevano la testa: era il segno che cercavano di arrampicarsi sul “bosco” perchè pronti a produrre la seta. Le donne li deponevano allora sulle fascinette precedentemente preparate e i filugelli, lentamente, formavano il bozzolo di seta entro il quale si racchiudevano per compiere la loro metamorfosi.
Dopo circa una settimana, i bozzoli completamente formati venivano staccati dal “bosco” e selezionati. l migliori venivano venduti alle filande; quelli scadenti venivano utilizzati dalle donne di casa che li filavano e li tessevano, ricavandone bellissime coperte.

LA VITA CONTADINA

Coinvolgeva tutta la famiglia. Cominciava all’alba e terminava al tramonto ed era legata all”avvicendarsi delle stagioni.
Lavorarare i campi era particolarmente pesante: tutto ciò che si produceva era frutto di tanta fatica e tanto sudore. Il contadino doveva contare sulla sua forza fisica poichè ogni attrezzo era manuale: la falce messoria, la zappa, la vanga, il rastrello, la falce da fieno (la ranza), cariole, carretti, botticella di rame per irrorare la vigna, tutto veniva spinto a forza di braccia; solo i carri pesanti e l’aratro venivano trainati dai buoi o dal cavallo da tiro.
Questa fatica non si esauriva solo nei campi, ma continuava entro la corte: nutrire gli animali, pulire la stalla, mungere la mucca, riordinare la cascina.
Per alimentare la stufa a legna, si segavano i tronchi e si spaccavano i ceppi. Per avviare il fuoco del camino si utilizzava la sbroccatura degli alberi che una volta raccolta si ordinava in fascine.
Poiché ogni casa aveva un piccolo orto, era compito del contadino prendersene cura, come dopo-lavoro!